Crazy (German Language Ed) - Brossura

Banali trasgressioni, nessun enigma nel Castello degli adolescenti di Lebert

Forte Luigi, Tuttolibri - La Stampa

Da quando Benjamin Lebert, bavarese di Monaco, classe 1982, capelli in technicolor, furoreggia con il suo romanzo Crazy tradotto in 19 lingue (e ora proposto a cura di Simona Vinci, versione di Umberto Gandini) il mondo dell’infanzia è in agitazione. Adesso tocca a loro, ai figli del 2000, i babies che poppano al computer e dischiudono gli occhi sulla vita virtuale. A loro la prossima mossa. Al confronto i «cannibali» sono vecchi parrucconi. E gli adolescenti come Lebert, che dominano le hit parades della narrativa, nemici da combattere. Cosa sarà mai la loro voglia di sesso di fronte alle nevrosi da placenta, ai ghirigori edipici della prima infanzia, al darwinismo da scuola materna? Si va verso l’anno zero, il big-bang di ogni esistenza. La scrittura diventa bambina. Altro che ricordi! La letteratura come vagito, ecco lo slogan per il futuro. E se c’è uno che sotto sotto potrebbe essere d’accordo, è proprio il bavarese Lebert. (C’è sempre stata alle sue latitudini una buona dose di vitalismo e anarchia. E lui non fa eccezione. Scrive di un collegio, il Castello delle anime buone, dove finisce il sedicenne emiplegico Benni, dopo tante peripezie e insuccessi scolastici. E state certi che Lebert non va a ripassarsi né Sotto la ruota di Hesse né Il giovane Törless di Musil, che di fronte a Crazy sembra un trattato di filosofia. Inutile piangersi addossi se oggi gli adolescenti non vanno più in crisi come il Törless per i numeri immaginari. Loro l’immaginazione la sguinzagliano altrove: tra bottiglie di birra, Bacardi, reggipetti e mutandine. Affrontano la vita con disincanto e ironia. Lo dice lo psichiatra, lo suggeriscono i media, lo attesta il nostro adolescente romanziere, che qualche merito ce l’ha pure ed è il ritmo vorticoso del suo racconto. Benni s’intruppa con un paio di clowneschi compagni: c’è Janosch, il capobanda, con il senso dell’umorismo, Felix il Magro e Felix il Grasso, Florian detto Bambina e Troy, che la fa ancora a letto. Non sono i bucanieri di Stevenson e nemmeno i ragazzi della via Pal. Sono tipi un po’ disorientati, tosti quel tanto che basta per scorrazzare di notte nelle camere di compiacenti compagne, che Janosch definisce, come tutto ciò che è eccitante, crazy. Anche Benni trova la sua Maria e nonostante l’handicap, se la «inchioda» direttamente in bagno. L’ossessione è finita, ora comincia lo sgomento. Tra l’irruzione notturna nelle stanze delle ragazze, la fuga dal collegio e la visita a un locale di strip, il romanzetto di Lebert costruisce il suo fragile orizzonte epico. Ma su di esso spira una brezza fresca, un’immediatezza disarmante. Crazy sta diventando un libro cult, gli adolescenti si specchiano nel suo linguaggio abborracciato, nelle banali trasgressioni, nel senso effimero del presente. Niente enigmi o misteri adolescenziali. Benni è solo uno che sente un gran vuoto e vuol sapere se la vita è poi tutta lì. Come molti ragazzi sogna un’esistenza affrancata da costrizioni. «Perché non possiamo tutti rimanere ragazzini?», si chiede. Forse non lo sa, ma il buon Hesse gli è molto più congeniale del giovane Holden, cui è stato paragonato. Vivere è avere paura, dice Benni. Coraggio. Anche senza Janosch e tutti gli altri, ce la farà di sicuro. Magari lo ritroveremo in doppiopetto nel prossimo romanzo di Lebert. Che nel frattempo ha deciso di sposarsi. Questo sì che è crazy, ma ahimé tutt’altro che eccitante.